La storia del nettare degli Dei
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Firenze, Domenica 31 Luglio 2016 - ore 06:39
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    LE BUCHETTE DEL VINO
    LE BUCHETTE DEL VINO
    La storia del nettare degli Dei

    Il vino fu apprezzato in Toscana fin dall’epoca etrusca e poi romana tanto da denominarlo “nettare degli dei”. Nel medioevo chi si dedicava alla produzione poteva entrare nell’Arte dei Vinattieri, la cui insegna era una coppa rossa in campo argenteo. I principali vini erano il chianti, il trebbiano, l’aleatico e il vino pretto che dal XV secolo si chiamerà vin santo, in quanto il Metropolita greco Bessarione, durante il Concilio di Firenze, bevendo questo vino, proclamò “questo è proprio vino di Xantos”, alludendo all’omonima isola greca. I commensali confusero questo nome con “santo” pensando che volesse alludere all’eccezionale qualità.

    Fino al XIV secolo i vini venivano venduti in fiaschi (detti “toscanelli”). A Firenze esisteva il Canto dei fiasconi, all’angolo fra le vie Condotta e Calzaioli, dove vi erano le botteghe dei vinari che circondavano il vetro con paglia per proteggerlo dalle cadute e per tenerlo d’estate il più fresco possibile. I fiaschi, riempiti di vino nelle vigne, venivano trasportati in città su barrocci trainati da bovi o cavalli. Un carro poteva trasportare fino a 200 fiaschi. Alcune vigne si trovavano anche entro il perimetro delle mura e il loro ricordo si è tramandato con il nome di tre strade: via della Vigna vecchia (gli orti dei monaci della Badia fiorentina) , via della Vigna nuova (coltivata dai frati di S.Trinita) e via Vinegia (della Chiesa di S.M. Novella, che nell’antichità era denominata S.M. in vigna).

    Il prezzo di vendita era fissato dalle autorità: basso durante la vendemmia e alto durante l’estate. Era sottoposto ad una tassa che nel Trecento fu utilizzata per la costruzione di Palazzo Vecchio. In ogni “Sesto” vi era una cantina per la vendita. Vi erano numerose osterie; la più famosa era quella di Ciardo di Betto, da cui derivò il nome di “bettola”.

    Nelle famiglie prevaleva il vino rosso (chiamato “vermiglio”) che si beveva annacquato. Nei banchetti lo si beveva “pretto”, cioè puro e talora lo si faceva anche venire dalla Sicilia per la sua maggiore gradazione. D’inverno lo si beveva anche caldo e speziato. Nelle osterie lo si prendeva con le frittelle di riso o con le salsicce o con i granelli (testicoli fritti).

    Molte le famiglie nobili fiorentine che nell’antichità facevano parte dell’arte dei Vinattieri. I primi sembrerebbero essere stati i Ricasoli (ben 32 generazioni) nel 1141, quindi nel 1150 i Verrazzano, estinti nell’800. Nel Trecento troviamo Lapo Mazzei che ideò la denominazione di “Chianti”, poi Beato dei Frescobaldi che iniziò il commercio con le Fiandre e l’Inghilterra e fu fornitore di famiglie reali. Nel 1385 fu Giovanni Antinori ad iscriversi all’Arte dei Vinattieri ed oggi i suoi discendenti hanno la maggiore estensione delle vigne ed il primato dell’esportazione nei cinque continenti.

    Il Chianti Classico è il vino ottenuto nel territorio fra Firenze e Siena ed ha per marchio un gallo nero, cioè quello della medievale Lega del Chianti.

    Nel 1716 fu il Granduca Cosimo III, primo nel mondo, a stabilire i criteri della denominazione d’origine dei singoli vini, delimitando le loro zone di produzione.

    I possessori di palazzi, a partire dal Seicento, cominciarono a vendere direttamente ai cittadini il loro vino senza dovere passare attraverso intermediari . Sorsero così le caratteristiche “buchette del vino”. Erano delle piccole finestrine accanto al portone del palazzo che comunicavano con una stanza adibita alla vendita del vino. Attraverso questo finestrino (elegante a vedersi perché aggraziato da una cornice in pietra più o meno scolpita) veniva riempito il fiasco del cliente. Servivano anche per beneficenza, in quanto ai poveri oltre al vino veniva talora dato anche il cibo. Erano numerosissime: a Firenze, ne sono attualmente rimaste un centinaio.

    Enrico Pieragnoli Couture

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