Una tazza di veleno per la città
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Firenze, Domenica 31 Luglio 2016 - ore 05:52
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    Una tazza di veleno per la città

    “Tazza di veleno” la definì in prima battuta Bettino Ricasoli quando, nel novembre 1864, apprese la notizia. Ma per il bene della patria invitò i concittadini a mettersi al lavoro per rendere la città accogliente e degna di essere la capitale del Regno. Poiché il Governo voleva insediarsi subito, il Comune dovette immediatamente mettersi al lavoro per creare le condizioni per trovare adeguati spazi per i ministeri, il Parlamento e le amministrazioni civili e militari, e per dare alloggio a 25-30.000 piemontesi, in gran parte funzionari e impiegati dello Stato. il Municipio dovette subito provvedere all’ampliamento della città, alla costruzione di nuovi edifici abitativi e all’abbattimento delle mura, voluto dal Governo per ragioni politiche-militari (eventuali sommosse popolari), sostituite da viali larghi 40 metri (necessari per il movimento di militari a cavallo). Non fu un’opera facile in quanto fra le due strade circondarie alle mura vi era un dislivello di 3 metri che serviva a proteggere la città da eventuali straripamenti dell’Arno. Fu quindi necessario creare nuove reti idriche e fognarie.

    Basandosi sulle promesse governative il Municipio aprì una pubblica sottoscrizione cui aderirono quasi tutti i cittadini e tutte le banche fiorentine.

    Sennonché nel 1870 con la sconfitta della Francia (garante dello Stato Pontificio) nella guerra contro la Prussia, l’Italia ne approfittò per la “presa di Roma” ed il trasferimento della capitale.

    Il Comune interruppe tutti i lavori non ancora appaltati, come il prolungamento del viale dei Colli fino alle Cascine, e cominciò a chiedere il rimborso dei soldi spesi per l’adeguamento di Firenze alle mansioni di una capitale. Il Governo, imbottito di ministri piemontesi (come pure di funzionari piemontesi), nonostante le precedenti promesse, cominciò a tergiversare, trincerandosi, sia dietro il parere di una Commissione parlamentare che sosteneva che “lo Stato non è tenuto a soccorrere i Comuni” e sia dietro il fatto che anch’esso era in deficit.

    E’opportuno ricordare che al momento dell’Unità d’Italia il Regno sardo-piemontese era il più povero dei Regni preunitari con un debito di 1.400.000 lire a fronte di 144.000 lire di entrate annue, soprattutto per le enormi spese di guerra. Fra gli Stati preunitari il più ricco era il Regno delle due Sicilie che, nonostante l’esiguità delle tasse, era finanziariamente solido, con moderne industrie e con una riserva aurea che era il doppio di quella di tutti gli Stati preunitari messi assieme. “Senza l’Unità d’Italia il Regno del Piemonte era condannato necessariamente al fallimento. Fu con l’annessione dei vari regni e soprattutto di quello borbonico (con la conseguente sua spogliazione) che il Regno d’Italia poté risolvere la sua situazione finanziaria” (F.S.Nitti, economista e futuro Presidente del Consiglio). Purtroppo nel decennio 61-71 gli impegni militari si accentuarono con la repressione nel Meridione prima e con la guerra contro l’Austria poi, cui seguirono spese non indispensabili, come la nazionalizzazione delle ferrovie. Solo quando nel novembre del ’94, con lo spread dei titoli inglesi a 900 e la dichiarazione del Governo alla Camera di essere vicini alla bancarotta, si pose mano, con il Ministro Sella, alla riduzione delle spese. In queste condizioni nulla poté fare il Sindaco di Firenze con i continui viaggi a Roma. Fu soltanto concesso sotto forma di “equo compenso” la stessa somma che 10 anni prima fu concessa a Torino (1.217 lire annue) per la perdita della capitale. Ma fu un compenso tutt’altro che equo, perché senza capitale Torino non doveva spendere niente, mentre per Firenze questa somma avrebbe coperto solo un terzo di quanto Firenze doveva pagare per gli interessi (3.584.000 lire annue). Da aggiungere che i piemontesi asportarono dalle sedi amministrative quanto poterono, a cominciare dai Savoia che portarono al Quirinale 10 arazzi medicei del Pontormo e del Bronzino di enorme valore contro le disposizioni testamentarie dell’ultima Medici, Maria Luisa.

    Enrico Pieragnoli Couture

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