Gli scontri tra Ricasoli e il Re
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Firenze, Domenica 31 Luglio 2016 - ore 06:28
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    Gli scontri tra Ricasoli e il Re

    Nel 1859, con la vittoria dei franco-piemontesi sugli austriaci e con la susseguente partenza da Firenze del Granduca Leopoldo II, si costituì un Governo provvisorio a capo del quale fu incaricato Bettino Ricasoli che d’accordo con Cavour, allora Primo ministro del Regno di Sardegna e Piemonte, indisse un plebiscito. Due le scelte: unione al Piemonte con ampia autonomia regionale oppure un regno separato. Fu un plebiscito farsa in quanto la scheda a favore dell’unione al Piemonte venne distribuita ovunque molti giorni prima, mentre quella per il “regno separato” doveva essere richiesta al seggio elettorale ed immessa in un’urna diversa. Non solo, ma i prefetti emanarono direttive draconiane ai proprietari terrieri e ai fattori affinché formassero cortei di contadini, per condurli alle urne con le schede elettorali in tasca. “Chi non vota non pota” era la minaccia ricevuta.

    Per ingrossare il corpo elettorale, per questo plebiscito fu abolito il “censo”, che concedeva il diritto di voto solo ai benestanti (il 2% della popolazione). D’altra parte i contadini pur essendo quasi tutti analfabeti costituivano oltre la metà della popolazione toscana. Il risultato fu 366.571 voti per l’annessione e 14.925 per un non specificato regno separato.

    Con la sopraggiunta improvvisa conquista garibaldina dell’Italia meridionale, l’unificazione d’Italia avvenne in pochi mesi inaspettatamente, per cui lo stesso Cavour si trovò impreparato a unificare Stati con ordinamenti costituzionali e amministrativi completamente diversi. Fu così che autorizzò Farini e Minghetti, suoi ministri, a proporre un progetto statutario di devoluzione regionale. Pure favorevole il Ricasoli che non intendeva che la Toscana fosse “assorbita” dal Piemonte senza alcuna autonomia. Altrimenti “la stupida pedanteria e la laida burocrazia piemontese ci costringerà ad una nuova rivoluzione per rigettare quel giogo che mi è più antipatico di quello che mi fu l’austriaco. Non vogliono capire che noi vogliamo essere italiani e anima italiana e non automi alla maniera loro”. Fu anche preveggente perché dopo due anni a Firenze ci fu una manifestazione popolare contro la “piemontesizzazione” per sedare la quale dovette intervenire l’esercito. Ricasoli voleva che il Re assumesse il titolo di Vittorio Emanuele I per significare che l’Italia era un nuovo Stato e non la continuazione del vecchio Stato piemontese. Ma Vittorio Emanuele II non volle cedere. Fra l’altro i rapporti fra il Re e Ricasoli non furono mai buoni. Il Re voleva fare di testa sua, mentre Ricasoli, che era di una estrema rigidità morale e sociale, criticava anche alcuni aspetti della sua vita privata. Ebbe anche a dire che il Re era “indegno di Bettino Ricasoli”.

    Nel frattempo Minghetti, con l’appoggio di Farini e di D’Azeglio, presentò in Parlamento nel 1860 un progetto di autonomia regionale che fu subito ritirato per le critiche ricevute: lo stesso Cavour, che ne era stato ideatore, non lo appoggiò adeguatamente, sembra per la delusione conseguente allo scoppio della guerra civile fra gli stati del nord e quelli del sud della Confederazione americana. Morto Cavour il progetto Minghetti fu nuovamente ripresentato l’anno successivo ma l’opposizione della vecchia burocrazia piemontese e della sinistra mazziniana e l’incapacità della classe politica di decidere, indusse il Ricasoli, da pochi mesi Presidente del Consiglio, a metterlo provvisoriamente nel cassetto e a estendere nel frattempo a tutta l’Italia la legislazione centralizzata piemontese di tipo napoleonico. Questa, valida per la Francia che da secoli non è mai stata divisa in stati, non poteva adattarsi né alla Germania, che peraltro aveva formalmente un Imperatore, né tanto meno all’Italia con i suoi numerosi sovrani italiani e stranieri. Mentre però negli stessi anni gli Stati tedeschi si unificavano in un Impero federale che darà origine ad uno stato potente anche economicamente, il Regno italiano, con l’improvvisa imposizione delle nuove pesanti leggi piemontesi, si avviò nel Meridione alla guerra civile, con l’intervento di una forza militare di 120.000 uomini (circa la metà del suo esercito) e le conseguenti decine di migliaia di vittime, senza riuscire a risolvere la così detta ” questione meridionale”, che, soprattutto per il suo aspetto prevalentemente economico, perdura ancora.

    Enrico Pieragnoli Couture

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