Lo scempio dello sventramento del Centro
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Firenze, Domenica 31 Luglio 2016 - ore 06:23
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    Lo scempio dello sventramento del Centro

    Come scritto nel precedente articolo, Firenze, divenuta capitale d’Italia, dovette eseguire diverse opere edilizie necessarie alle esigenze della nuova realtà le cui spese portarono al fallimento finanziario del Comune (1878), con gravi ripercussioni sulla popolazione. Peraltro, con la vendita di numerosi immobili e terreni di proprietà comunale e con incentivi per lo sviluppo del lavoro, la città poté gradatamente riprendersi (piano di ammortamento del debito in 55 anni) e sviluppare numerose opere rimaste incompiute, come ad esempio la facciata della Cattedrale (1887). Fra queste opere ci furono anche i lungarni con eleganti palazzi di stile neoclassico, alcuni dei quali (villa Favard) furono del Poggi. Secondo il suo piano, al di là delle mura dovevano vedere la luce ville e villini con grandi giardini, nonché piazze e parchi pubblici, mentre all’interno del perimetro murario (piani Del Santo e Poggi) dovevano abbattersi solo edifici fatiscenti, quali quelli a ridosso di palazzo Vecchio, allargando alcune strade per rendere possibile il passaggio delle carrozze. Infatti già prima del trasferimento della capitale erano già state allargate le vie Tornabuoni, Cerretani e Panzani.

    Fu dopo il fallimento del Comune, per la necessità di dare lavoro ai tanti disoccupati, ma soprattutto per speculazioni di grandi dimensioni, che il Municipio, accantonati i precedenti piani, approvò il piano di Odoardo Rimediotti che prevedeva il totale sventramento del Centro storico (1882).

    Innanzitutto ci fu una battaglia giornalistica iniziata dalla “Nazione” con gli articoli infiammanti di “Jarro” (G.Piccini) sul degrado del centro cittadino, focolaio del vizio e della malavita, che diede l’avvio alla suddetta speculazione finanziaria e commerciale condotta da società italiane e inglesi. In pochi mesi si riuscì ad espropriare tutte le proprietà e a evacuare ben 6.000 persone che dovettero sistemarsi nei quartieri più poveri e più degradati di S.Croce e S.Frediano, andando ad incrementare in modo smisurato la loro densità abitativa. “Spazzar via tutto nel più breve tempo possibile” ordinò il sindaco Torrigiani. Sparì il ghetto, ormai non più abitato dagli ebrei, con due sinagoghe e sparirono il Mercato vecchio, le antiche chiesette, le case torri, 26 stradine, 20 piazzette, 18 vicoli e le dimore delle vecchie famiglie fiorentine (Medici, Sacchetti, Strozzi, Tosinghi, Vecchietti, Tornaquinci). Fu salvata la loggia del pesce e la colonna dell’abbondanza. Il tutto fu sostituito da nuovi palazzi, alcuni di tipo rinascimentale, altri neoclassici e, ciliegina sulla torta, un grandioso porticato sovrastato da un grande arco, che niente ha di fiorentino ma tutto della moda piemontese napoleonica, recante l’ipocrita scritta: “L’antico centro della città da squallore a nuova vita restituito”.

    Si narra che un giorno Telemaco Signorini, che stava passando dal Centro, incontrato un suo amico che gli chiese se avesse pianto per la distruzione delle porcherie, rispose: “piango per le porcherie che vengono su”. Molti gli articoli che apparsero sui giornali di tutta Europa. Scrisse il Cerchi: “Voi di Firenze state facendo un indecente sobborgo di Torino o di Milano”. In Inghilterra, il “Times” scrisse: “un insieme unico al mondo di strade e vicoli medievali non fu ripulito, ventilato, fognato, ma semplicemente raso al suolo”. In Francia “le Secle”: “il fascino di Firenze era la varietà delle passeggiate nei vicoli pittoreschi”. Non stettero zitti neppure i numerosi stranieri residenti a Firenze a cominciare dalla famosa scrittrice Verner Lee. La loro battaglia assieme a quella di molti personaggi italiani riuscì a salvare almeno la parte sud del Centro, dalla Loggia del Porcellino fino all’Arno. Purtroppo ulteriori speculazioni portarono ad un eccesso di costruzioni in altre zone della città, sia dentro che fuori il vecchio perimetro murario, riducendo gran parte del verde che, secondo il Poggi, avrebbe dovuto essere mantenuto per parchi pubblici e giardini privati.

    Nei lavori per la Capitale un rammarico: il mancato completamento del viale dei Colli che, attraverso Bellosguardo, avrebbe raggiunto le Cascine. Ma la capitale se ne andò improvvisamente e inaspettatamente a fine ’70 e così svanì anche la fine del viale dei Colli.

    Enrico Pieragnoli Couture

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